L’art. 3 Cost. quale principio per tutelare le differenze di sesso e rimuovere le disuguaglianze di genere

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«Il riconoscimento della raggiunta parità esiste per ora negli articoli della Costituzione. Questo è un buon punto di partenza per le donne italiane, ma non certo un punto di arrivo. Guai se considerassimo questo un punto d’arrivo, un approdo. Può, questo riconoscimento costituzionale, essere preso a conforto e a garanzia dalle donne italiane, le quali devono chiedere e ottenere che via via siano completamente realizzate e pienamente accettate nella vita e nel costume nazionale le loro conquiste». Così, in Assemblea Costituente, Teresa Mattei esprimeva la necessità di continuare a occuparsi della questione femminile, nonostante la parità nel diritto raggiunta con l’entrata in vigore della Carta costituzionale. Seppur trascorsi settant’anni, queste parole non perdono di attualità poiché contrariamente a quanto si potrebbe ritenere prima, nella società odierna caratterizzata da una progressiva complessificazione del diritto, il bisogno di parità giuridica che costituiva il fondamento del costituzionalismo moderno non è venuto meno, ma, al contrario, a quel bisogno se ne sono aggiunti di nuovi che spesso rendono difficoltosa la realizzazione dell’eguaglianza sostanziale tra i cittadini, specialmente con riferimento alle relazioni di genere. Esaminando la Costituzione, si può notare che la collocazione dei primi tre articoli non è casuale, bensì rispecchia l’evoluzione storica dei principi democratico (art. 1), di libertà (art. 2) e di eguaglianza (art. 3). La «Repubblica democratica» dell’art. 1 Cost. richiama, infatti, i fondamenti di libertà ed eguaglianza, poiché i valori della democrazia si possono inverare solo attraverso l’affermazione di spazi di libertà garantiti a tutti e mediante il riconoscimento di diritti che vanno esercitati adempiendo i doveri inderogabili di solidarietà sociale100. Non è casuale, infatti, che alla sostanziale svalutazione dell’eguaglianza si accompagnino spesso concezioni deboli della democrazia e della capacità della Costituzione di fungere da orientamento in senso redistributivo delle dinamiche sociali ed economiche. Il rapporto tra l’esigenza di parità giuridica, realizzata attraverso l’affermazione dell’eguaglianza formale, e quella di differenziazione giuridica, perseguita mediante l’eguaglianza sostanziale, infatti, caratterizza il significato dell’eguaglianza, come dimostra la struttura stessa dell’art. 3 della Costituzione. La «pari dignità sociale», che impegna la Repubblica ad adoperarsi contro ogni forma di discriminazione, funge, infatti, da «cerniera» tra primo e secondo comma, rendendo possibile l’esistenza del principio di eguaglianza tout court.

Il primo comma dell’art. 3 Cost., infatti, esclude che determinati fattori possano aver rilievo ai fini di arbitrarie discriminazioni, ostacolando, così, il pieno sviluppo della persona in condizioni paritarie con gli altri consociati. Il secondo comma, invece, consente di prevedere discipline differenziate idonee ad attenuare i dislivelli presenti nella società, tutelando i soggetti che risultano economicamente, fisicamente, socialmente o culturalmente svantaggiati. Generalmente definiti «deboli», poiché versano «incolpevolmente in una condizione di minorità sociale» discostandosi, dunque, dal parametro di normalità sociale, tali soggetti sono destinatari di uno statuto giuridico differenziato. Con l’entrata in vigore della Costituzione, dunque, si chiede espressamente al diritto di rimuovere le diseguaglianze volontarie o involontarie tra gli uomini, attraverso la realizzazione di vere e proprie disparità giuridiche

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Pertanto, ogni riflessione sull’eguaglianza, oltre a prendere in considerazione il rapporto tra la dimensione formale e sostanziale, presuppone, altresì, l’attenzione a concetti ad essa contigui, quali quelli di«differenza» e «diseguaglianza». «Le differenze – siano esse naturali o culturali – altro non sono che i connotati specifici e irripetibili che differenziano e al tempo stesso individuano le persone e che sono in quanto tali tutelati dai diritti fondamentali». Le «diseguaglianze», invece, «siano esse economiche o sociali – sono le disparità tra soggetti prodotte dalla diversità (…) delle loro posizioni di potere e di soggezione». La distinzione teorico-concettuale tra differenze e diseguaglianze è estremamente rilevante con riferimento alle questioni di «genere», in quanto permette di non confondere le discriminazioni di matrice identitaria (basate, dunque, sul sesso degli individui) da quelle dipendenti da ragioni di natura sociale (fondate sulle costruzioni di «genere»). Il principio di eguaglianza ex art. 3 Cost., infatti, opera nei confronti delle differenze e delle diseguaglianze in modo diverso, in quanto impone di riconoscere e tutelare le prime, mentre prescrive di individuare e rimuovere le seconde.

​Guttae Legis

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