(Adnkronos) – “Abbiamo già sottomesso la richiesta di approvazione di questo farmaco ad Aifa, al nostro ente regolatorio. Ma attraverso quello che in Italia è codificato come Gsk Aid (Patient assistance programm, ndr)”, momelotinib “è già a disposizione dei pazienti con mielofibrosi e dei clinici che ne fanno richiesta. Di questo ci occupiamo noi, come direzione medica Italia, unitamente al team globale. Il medico che vedesse un’opportunità per questo prodotto per un suo paziente può farcene richiesta e noi, attraverso un questionario che identifica le caratteristiche che corrispondono a dove il farmaco ha prodotto efficacia, attiviamo la richiesta interna. Se la richiesta è conforme, nell’arco di 2, massimo 3 settimane viene approvata e il farmaco arriva al paziente per tutto il tempo che sarà necessario e per tutto il tempo che potrà beneficiarne e che, rispetto ai dati clinici, può essere di anni. Attualmente in Italia sono stati trattati più di 230 pazienti, un numero importante se consideriamo la difficoltà di identificare questa patologia”. Così Maria Sofia Rosati, responsabile medico e direttore Oncoematologia Italia Gsk, partecipando oggi a Verona all’incontro con i giornalisti organizzato dall’azienda farmaceutica. Negli anni, ricorda Rosati, “sono stati sviluppati dei farmaci importanti che possono cambiare il corso della mielofibrosi”, efficaci “soprattutto sul controllo della malattia stessa, ma anche sulla parte legata alla qualità di vita. Gsk è intervenuta in questo percorso con il paziente, a fianco del paziente. Non abbiamo solo sviluppato un farmaco, ma lo abbiamo fatto pensando a quelli che erano i suoi bisogni”. E momelotinib, che è un Jak inibitore, “ci permetterà di offrire a questi pazienti l’opportunità non solo di vivere una vita migliore, ma di liberarsi, o comunque di migliorare, una delle componenti più importanti, la trasfusione-dipendenza, che è la caratteristica tipica di questi pazienti spesso fortemente anemici”. La mielofibrosi è “una patologia ancora purtroppo poco conosciuta, silente ma estremamente destruente nella vita quotidiana di chi ne è affetto perché ha un impatto importante sulla qualità di vita, forse più di quanto non ne abbiano tante altre – osserva il direttore oncologia Gsk Italia – La patologia è infatti gravata dal fatto che, per anni, il paziente viene visto da vari medici senza arrivare a una diagnosi” e così “continua ad avere sintomi come una terribile fatica nel vivere la sua quotidianità”, senza “comprenderne perché. La grande stanchezza che prova” viene spesso attribuita “alla depressione o a problemi lavorativi ma, in realtà, dietro c’è una malattia” oncoematologica “molto importante che comporta delle limitazioni nella vita sua e delle persone che gli sono vicine”. Il paziente con mielofibrosi presenta un’anemia che, oltre a essere responsabile di sintomi invalidanti come la stanchezza cronica, lo costringe a sottoporsi alle trasfusioni. “Immaginate – sottolinea Rosati – l’impatto di tale condizione sulla vita di un paziente che deve recarsi all’ospedale, nella maggior parte dei casi, vista l’età dell’incidenza della patologia, accompagnato da un familiare o caregiver, per essere trasfuso una volta o più volte a settimana. C’è una limitazione non solo nella sua vita personale, ma anche quella di chi lo accompagna, con un impatto sociale importante”. A tale proposito “la tecnologia che stiamo sviluppando, il farmaco Jak inibitore recentemente approvato dall’Agenzia europea (Ema) – ribadisce – permette a molti di questi pazienti di potersi liberare o comunque limitare la necessità delle trasfusioni. E’ un piccolo passo, ma è grandissimo se ci mettiamo nei panni di tutti questi pazienti che ne sono affetti. Ma la nostra ambizione – conclude Rosati – resta quella di sconfiggere la malattia”. —salutewebinfo@adnkronos.com (Web Info)
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