(Adnkronos) – "Volevo dire tutta la verità, sono state dette tante parole false. Non è vero che sono una persona ricca, che sono legato alla mafia, che ho ammazzato qui o in Pakistan. Né che sono andato a casa di Saqib a minacciarlo". Inizia così la lunga dichiarazione spontanea resa da Shabbar Abbas nell’aula della Corte di Assise di Reggio Emilia. Il padre di Saman, uccisa a 18 anni la notte tra il 30 aprile e il primo maggio 2021, parla come un fiume in piena nel giorno in cui è attesa la sentenza del processo per l'omicidio di sua figlia. "È falso quello che dicono – ribadisce – che ho ammazzato mia figlia e sono scappato via, che il 29 aprile ho scavato la buca, che ho portato lo zaino a casa, dopo averla lasciata in campagna. Io sono venuto con la mia famiglia in Italia a luglio 2016, i bambini dopo 1 o 2 mesi hanno cominciato ad andare a scuola. Saman ci andava col fratello, li portavo io. Qualche volta andavano soli, lei però non voleva prendere il treno e mi ha chiesto di comprarle una macchina, ma senza patente le ho risposto che non poteva e lei ha detto che non voleva andare a scuola. A casa avevamo un computer che lei usava, parlava su Skype, diceva che studiava". “I genitori non pensano mai male per i figli, come non l’ho fatto io – ribadisce Shabbar -. Volevo bene a loro, ho sempre lavorato in campagna, non ho mai rubato. Sono una persona povera, ho iniziato casa nel 2015 e ancora non è finita. Una persona ricca l’avrebbe fatta subito, e un mafioso non viene in Italia a lavorare. Ho sempre lavorato per la mia famiglia, per i miei figli, per mia moglie, mai nemmeno un centesimo gli ho negato, davo tutto a loro. Non è vero del matrimonio combinato, Saman era contenta. Se mi avesse detto una volta che non voleva sposare quel ragazzo, avrei annullato tutto”. "Non voglio dire bugie, ne ho sentite troppe qui. In vita mia non ho mai picchiato nessuno. Nel 2019 siamo andati in Pakistan e alcuni giorni dopo mio cugino mi ha detto che voleva portare a casa sua Saman. Gli ho risposto che era ancora una bambina, che volevo pensarci, che mi serviva tempo. Quindici, venti giorni dopo, mia figlia e mia moglie mi hanno detto che andava bene. E poi lui ha 4 anni in più, non come hanno detto. Io non avrei mai voluto un vecchio accanto a mia figlia. In Pakistan mio cugino e la sua famiglia stanno bene, hanno casa e terra, tutto il necessario per vivere e poi era il mio stesso sangue. Erano tutti contenti”. (dall’inviata Silvia Mancinelli) —cronacawebinfo@adnkronos.com (Web Info)
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