(Adnkronos) – Una proteina ‘operaia’ che si chiama Smyd3, complice del cancro perché fiancheggia le cellule malate aggiustandone il genoma, è un bersaglio da colpire per combattere la resistenza del tumore al colon retto alla chemioterapia. Inibendola, è possibile aumentare l’efficacia delle cure. E’ la via indicata da un progetto di ricerca condotto all’Irccs ‘Saverio de Bellis’ di Castellana Grotte (Bari), specializzato in gastroenterologia. Lo studio, durato 5 anni e guidato dal genetista dell’università di Bari Cristiano Simone, è stato finanziato dalla Fondazione Airc per la ricerca sul cancro. I risultati sono stati pubblicati sul ‘Journal of Experimental & Clinical Cancer Research’. E’ noto che la chemioterapia, ancora oggi uno dei trattamenti più efficaci per la cura dei pazienti oncologici – ricordano dall’istituto pugliese – agisce danneggiando il Dna sia delle cellule tumorali che di quelle sane, causandone la morte. Il tumore, però, può sviluppare una resistenza ai chemioterapici, proprio come avviene per i batteri verso gli antibiotici, e questo causa la maggior parte delle recidive. Accade perché le nostre cellule possiedono un sistema di riparazione del Dna che consente loro di rimanere in salute, ma che purtroppo viene sfruttato anche dalle cellule tumorali per difendersi dall’azione della chemioterapia. Di questo sistema fa parte la proteina Smyd3. “Smyd3 è una proteina operaia coinvolta proprio nella riparazione del Dna nelle cellule cancerose – spiega Simone – Recentemente abbiamo dimostrato che l’impiego di un nuovo inibitore di Smyd3 aumenta l’efficacia dei chemioterapici, e che nei tessuti di pazienti con neoplasie gastrointestinali Smyd3 è fortemente espressa. Il nostro studio identifica Smyd3 come bersaglio terapeutico nei tumori in cui è espressa in eccesso, permettendo di eliminare in maniera mirata le cellule cancerose e risparmiando quelle sane. Questo approccio terapeutico rappresenterebbe un’arma vincente non solo per evitare la resistenza ai chemioterapici, ma anche per ridurne le dosi, limitando sia gli effetti collaterali sia i costi”. “Questo è il risultato vincente di uno studio multidisciplinare”, dichiara il direttore scientifico dell’Irccs de Bellis, Gianluigi Giannelli, che evidenzia come “ricercatori, chirurghi, oncologi, anatomopatologi abbiano lavorato in squadra proprio come avviene in tutti i grandi centri di ricerca internazionali”. C’è di più: “L’inibitore di Smyd3 – riporta una nota – è già stato validato scientificamente presso l’Irccs de Bellis e brevettato in Italia ed in fase di approvazione a livello internazionale. Il trasferimento tecnologico, fortemente perseguito dalla direzione scientifica, rappresenta un punto di forza della ricerca dell’istituto pugliese, offrendo anche opportunità allo sviluppo dell’imprenditorialità territoriale”. —salutewebinfo@adnkronos.com (Web Info)
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