Una riflessione sugli elementi che limitano la libertà di riunione

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Il riconoscimento della libertà di riunione assume una certa rilevanza negli Stati di democrazia pluralista. La libertà di riunione, infatti, è strettamente connessa all’esigenza di socializzazione e di incontro propria degli esseri umani. Essa rappresenta «un moltiplicatore dell’azione individuale» ovvero, come affermato dalla Corte costituzionale, «uno degli strumenti necessari per la soddisfazione di quell’interesse fondamentale dell’uomo vivente in società di scambiare con altri le proprie conoscenze, opinioni, convinzioni». Ed è proprio per tale ragione che la libertà di riunione, insieme a quella di associazione, è inquadrabile nelle “libertà collettive” , dal momento che è sì una libertà individuale, ma può essere esercitata solo in forma collettiva . Detto in altri termini, è una libertà individuale il cui esercizio richiede necessariamente la partecipazione di più soggetti. In origine, il diritto costituzionale di riunirsi nasce come mezzo di partecipazione alla sfera pubblica e ha, per questo, una naturale vocazione politica ed è ritenuto una precondizione della vita democratica. Una conferma di questa impostazione la si ritrova nell’art. 17 Cost., che – come dimostra il tenore letterale della disposizione – mira a “proteggere” più le riunioni pubbliche, che quelle private . È innegabile, inoltre, che questo sia stato l’intento primario delle Costituzioni di fine XVIII secolo e inizio XIX secolo. Tuttavia, nel corso del tempo, l’oggetto delle riunioni si è progressivamente ampliato, finendo per ricomprendere qualsiasi manifestazione della socialità dell’uomo. Le limitazioni oggettive alla libertà di riunione La legislazione ordinaria prevede, in ordine alle modalità di svolgimento delle riunioni, alcune limitazioni. In primo luogo, vengono in considerazione le limitazioni relative a specifiche modalità di esercizio, all’interno delle riunioni, della libertà di manifestazione del pensiero. L’art. 654 c.p. punisce, infatti, «chiunque in una riunione che non sia da considerare privata […] compie manifestazioni o emette grida sediziose». L’art. 655 c.p., poi, sanziona «chiunque fa parte di una radunata sediziosa di dieci o più persone». La Corte costituzionale, investita della questione di costituzionalità, ha reputato che tali disposizioni del codice penale «si armonizzano perfettamente col precetto dell’art. 17 Cost., poiché rispondono appunto alla necessità di assicurare l’ordine pubblico e la tranquillità pubblica, tendono cioè a garantire beni che sono patrimonio dell’intera collettività». La Corte ha, in tale occasione, precisato che sono «atteggiamenti sediziosi penalmente rilevanti» solo quelli che implicano ribellione, ostilità, eccitazione al sovvertimento delle istituzioni pubbliche e che risultino in grado di causare un evento pericoloso per l’ordine pubblico. La Consulta non ha, inoltre, ritenuto contrastanti con l’art. 17 Cost. gli artt. 183 e 184 Codice Penale Militare di Pace., i quali, rispettivamente, puniscono le manifestazioni e grida sediziose, e le riunioni militari che abbiano carattere ostile e sedizioso, in base all’assunto per cui i diritti costituzionali dei cittadini militari vanno contemperati con quelli dell’istituzione militare cui essi appartengono. A tali disposizioni, che sanciscono una limitazione alla libertà di pensiero in occasione di riunioni, va anche aggiunta la previsione di cui all’art. 5 della L. n. 645 del 1952, che vieta – in conformità a quanto disposto dalla XII Disp. fin. Cost. – a chiunque di compiere manifestazioni usuali del disciolto partito fascista oppure di organizzazioni naziste in riunioni pubbliche. Vi sono, poi, delle limitazioni circa le modalità di partecipazione alle riunioni. Così, ad es., l’art. 5 della L. n. 152 del 1975, per come modificato dall’art. 2 della L. n. 533 del 1977, vieta l’uso dei caschi protettivi nelle manifestazioni che si svolgano in luogo pubblico o aperto al pubblico. Qualora questo accada, l’autorità di pubblica sicurezza potrà disporre lo scioglimento della riunione soltanto qualora non sia possibile isolare i soggetti muniti di casco protettivo oppure quando vi sia una considerevole sintonia tra questi e gli altri partecipanti . Nel caso di luoghi ove si svolgono competizioni agonistiche e sportive è fatto divieto di accedervi, dall’art. 2, comma secondo, del D.L. n. 122 del 1993 (convertito, con modificazioni, nella L. n. 205 del 1993), alle persone munite di emblemi o simboli razzisti o xenofobi. Da ultimo, occorre soffermarsi sui divieti a carattere generale di tenere riunioni in specifici luoghi pubblici: si pensi, ad es., ad un’ordinanza emessa da un Sindaco che vieta

un corteo nel centro storico della sua città. Divieti di tal fatta sono da ritenersi legittimi, in quanto ciò che viene vietato non è la riunione in sé, ma soltanto una specifica e determinata modalità di svolgimento della stessa . Non ammettere simili divieti porterebbe a non tenere in adeguata considerazione altre esigenze e gli altri diritti dei cittadini, come il diritto di circolare liberamente e – per restare nell’esempio sopra fatto – il diritto di salvaguardare il patrimonio artistico del centro storico da eventuali danneggiamenti a statue o palazzi che possano verificarsi durante tali cortei. Occorre, infine, ricordare che la pandemia dovuta dal virus Sars-CoV2 ha indotto il Governo ad adottare, fra le misure di contenimento, la «limitazione o divieto di riunioni o degli assembramenti in luoghi pubblici o aperti al pubblico»: così, ad es., disponeva l’art. 1, comma 2, lett. f), del D.L. n. 19 del 2020.

​Guttae Legis

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