(Adnkronos) – Vittorio Cecchi Gori è ricoverato in Terapia intensiva al Policlinico Gemelli di Roma per insufficienza respiratoria. Che cos’è? A cosa è dovuta? Si tratta “una condizione patologica causata dall’incapacità dell’apparato respiratorio di garantire adeguati scambi di ossigeno tra ambiente e sangue”, con conseguente “incapacità di ottenere adeguati valori ematici di ossigeno e anidride carbonica”. L’insufficienza respiratoria “può essere acuta, quando la sua insorgenza è rapida e improvvisa, o cronica, quando si manifesta progressivamente per stabilizzarsi o evolvere nel tempo”. All’origine ci sono cause diverse, spiega Laura Mancino, pneumologa dell’ospedale dell’Angelo di Mestre (Venezia), in un approfondimento sul portale ‘Prendiamo fiato’, dedicato alle malattie del respiro. “Le cause più frequenti di insufficienza respiratoria acuta sono l’edema polmonare acuto, l’embolia polmonare massiva, lo pneumotorace iperteso, la crisi asmatica, la polmonite che causa sindrome da distress respiratorio acuta come ad esempio la polmonite Covid-19 relata”, ossia associata all’infezione da Sars-CoV-2. Proprio per complicanze polmonari da Covid Cecchi Gori era già stato ricoverato a inizio 2022. All’origine dell’insufficienza respiratoria acuta ci possono essere poi “i traumi, le intossicazioni da farmaci o tossine”, elenca la specialista. “Le cause più comuni di insufficienza respiratoria cronica sono” invece “le malattie polmonari croniche quali la broncopneumopatia cronica ostruttiva (Bpco) o le malattie interstiziali polmonari (fibrosi polomonare), le malattie neurologiche come la sclerosi laterale amiotrofica (Sla), la sindrome obesità-ipoventilazione (o sindrome di Pickwick), la fibrosi cistica, l’ipertensione polmonare, le malattie cardiache congenite o croniche ingravescenti”. Quali sono i sintomi? “Manifestazioni comuni dell’insufficienza respiratoria sono la dispnea, ovvero la mancanza di respiro – descrive la pneumologa – la riduzione della saturazione dell’ossigeno”, motivo per il quale Cecchi Gori era arrivato al Gemelli, prima di avere una crisi respiratoria che lo ha portato al ricovero, o ancora “l’uso dei muscoli accessori della ventilazione, ma anche la sonnolenza fino al coma”. “L’insufficienza respiratoria può” dunque “determinare alterazioni nei valori dell’ossigeno nel sangue, ma anche dell’anidride carbonica. Nel senso di una sua diminuzione o, cosa ben più grave, di un suo aumento. Questa distinzione – precisa Mancino – è necessaria da tenere a mente” quando si tratta di decidere il trattamento. “Quando la pressione parziale di ossigeno nel sangue scende al di sotto di 55 mmHg – illustra l’esperta – allora è necessario trattare l’insufficienza respiratoria”. Si comincia con la somministrazione di ossigeno attraverso semplici cannule nasali, se il fabbisogno di ossigeno è basso, per poi passare a maschere speciali, fino ad arrivare all’ossigenoterapia ad alti flussi attraverso nasocannule se il fabbisogno di ossigeno è molto alto. “Questi provvedimenti sono utili nella correzione dell’insufficienza respiratoria definita ipossemica e normocapnica, ovvero con valori di anidride carbonica nella norma”. Tuttavia “alcune patologie (la più comune è la Bpco) sono caratterizzate, oltre che da bassi valori di ossigeno, da elevati valori di anidride carbonica” o ipercapnia. L’accumulo di anidride carbonica nel sangue “si manifesta inizialmente con iper-reattività e agitazione, per poi portare a una riduzione dello stato di coscienza (il paziente appare sonnolento), fino al coma”. In questo caso la somministrazione di ossigeno non basta, puntualizza la pneumologa, anzi va controllata perché “l’eccesso porterebbe a un ulteriore aumento dell’anidride carbonica. Sarà dunque necessario ridurre i valori di anidride carbonica mediante dispositivi di ventilazione non invasiva (paziente in terapia sub intensiva o a domicilio) e nei casi più gravi invasiva (paziente intubato in terapia intensiva o tracheotomizzato)”. —salutewebinfo@adnkronos.com (Web Info)
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