Chiarezza e trasparenza normativa: fondamento per il rispetto del principio di uguaglianza

banner pubblictà

La Costituzione italiana concepisce la persona nella sua duplice dimensione individuale e sociale, in una «concezione della vita associata dove tutti sono solidali con il destino di ognuno». Tanto si può evincere dal disposto dell’art. 2 della Costituzione che sancisce la stretta correlazione fra il godimento dei diritti e l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, sociale ed economica. L’elemento che qualifica l’ideologia trasfusa nella nostra Carta costituzionale è, dunque, il concetto di «persona umana» quale «centro ispiratore e propulsore di tutta la normativa costituzionale e quindi la dinamica stessa dell’ordinamento giuridico totale». Lo Statuto dei diritti del contribuente offre un grosso contributo al fine di garantire la chiarezza e la trasparenza delle disposizioni tributarie. Al riguardo fondamentale è la disposizione di cui all’art. 2, che detta precise disposizioni in tema di tecnica legislativa tributaria, prevedendo: la menzione, nel titolo della legge, dell’oggetto della stessa, e nella rubrica delle partizioni interne e dei singoli articoli, dell’oggetto delle singole prescrizioni; il divieto di inserire in leggi non aventi un contenuto tributario disposizioni di tenore tributario; l’indicazione, in caso di richiamo, del contenuto sintetico della norma di rinvio, nonché del testo novellato, in caso di sopravvenute modificazioni. Dal contenuto della norma emerge chiaramente come il “bene” protetto sia costituito dalla conoscibilità effettiva delle norme tributarie. L’art. 2 ha, infatti, quale obiettivo quello di garantire non solo norme chiare ed intellegibili ma anche facilmente individuabili e reperibili da parte del contribuente che alle stesse è chiamato a dare applicazione per cercare di porre rimedio alla cronica incertezza che del nostro diritto tributario. Orbene, numerosi sono i difetti della tecnica normativa nel settore tributario che determinano mancanza di chiarezza, comprensibilità, semplicità ed uniformità del linguaggio legislativo. Innanzi tutto, viene in rilievo la deficitaria struttura degli atti legislativi costituiti da pochi articoli contenti decine di commi, a loro volta divisi in lettere e, quest’ultime, in numeri. A ciò deve aggiungersi la genericità del titolo della legge e la inadeguata, ed in alcuni casi assente, rubricazione delle partizioni interne e dei singoli articoli. Inoltre, occorre considerare la “frantumazione” della norma tributaria dovuta alla “stratificazione normativa” nonché alla mancanza di una riformulazione delle disposizioni oggetto di continue modifiche. Infine, non si possono non sottolineare le notevoli difficoltà che l’interprete incontra nel cogliere il significato della norma tributaria a causa del frequente utilizzo della tecnica del rinvio e delle modalità con le quali viene attuato. Infatti, spesso si tratta di un mero rinvio numerico, altre volte si assiste a “rinvii a catena”, per non dire dei c.d. “rinvii innominati”. Ebbene, il legislatore statutario ha cercato di porre rimedio a questa situazione con una disposizione, quella appunto dell’art. 2, che si dirige principalmente al legislatore del quale intende vincolare la discrezionalità normativa. A questo proposito, significativa è la direttiva del ministero delle finanze del 21 settembre 2000 la quale prevede che “d’ora in avanti particolare attenzione sia riservata alla qualità dei testi normativi perché è evidente che lo Statuto in questa parte si rivolge sia al Governo che al Parlamento”. Tuttavia, si pone il problema del valore delle suddetta disposizione e delle conseguenze derivanti dalla sua violazione. Parte della dottrina ha concluso che la violazione dell’art. 2 non costituisce una violazione della Costituzione ma che possa fornire elementi per effettuare una valutazione in ordine ad un eventuale violazione dell’art.3 della Costituzione e come tale possa essere causa di incostituzionalità della normativa tributaria. Tuttavia, è doveroso segnalare come altra autorevole dottrina rinvenga nella violazione dell’art. 2 dello Statuto una possibile lesione, in primo luogo dell’art. 3, comma 2 della Costituzione, che impone alla Repubblica il compito di assicurare l’effettiva conoscibilità della legge, rimuovendo, in tal modo, quegli ostacoli che limitano la libertà e l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, nonché una violazione dell’art. 23 della Costituzione. Infatti, il rispetto del principio di legalità impone al legislatore di emanare leggi che chiare e trasparenti e facilmente conoscibili dal cittadino ed, in questo senso, l’art. 2 della Statuto, individua il minimum necessario per garantire la chiarezza e la trasparenza delle disposizioni tributarie. Pertanto, “un precetto tributario che non rispetti lo stesso art. 2 può contrastare con l’art. 23 Cost. perché ogni prestazione personale e patrimoniale può essere imposta solo con una legge conoscibile”. Del resto la stessa Corte di Cassazione ha sottolineato come “la correttezza e la buona fede nei confronti del contribuente debbono essere osservate non solo dall’amministrazione finanziaria in fase applicativa, ma anche dallo stesso legislatore tributario all’atto dell’emanazione delle fonti normative, come emerge in particolare dall’art. 2 che detta i criteri di chiarezza e trasparenza che debbono essere osservati nelle disposizioni tributarie”. Nonostante l’art. 2 sia, dunque, considerata, norma generale sulla formulazione delle disposizioni tributarie, va comunque osservato che la sua introduzione non ha eliminato i difetti della tecnica normativa, come chiaramente emerge dalla legislazione degli ultimi dieci anni che non sempre si è attenuta alle indicazioni espressa dalla norme.

​Guttae Legis

Read More

banner pubblicità

Commenta per primo

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*