(Adnkronos) – "Il cervello e il sistema immunitario hanno un fitto dialogo, importante non solo per la difesa del cervello, ma anche per il suo funzionamento. Nell'ultimo decennio è diventato via via sempre più evidente". Lo spiega Gabriela Constantin, ordinaria di Patologia generale e Immunologia all'Università di Verona e coordinatrice dello Spoke 7 "Neuroimmunologia e Neuroinfiammazione" del progetto Mnesys per lo studio del cervello, illustrato al Primo Forum delle neuroscienze, che si apre oggi a Napoli. "Stiamo lavorando proprio per comprendere il coinvolgimento del sistema immunitario in malattie neurodegenerative, come la sclerosi multipla e l'Alzheimer, cioè tutte le patologie per cui l'infiammazione del cervello ha un ruolo solo recentemente individuato", evidenzia l'esperta. Un importante filone di ricerca per fare luce su malattie ancora 'rompicapo'. Sul ruolo dei linfociti T, cellule immunitarie fondamentali, nell'induzione della sclerosi multipla sta indagando la ricerca 'Re-emergence of T lymphocyte-mediated synaptopathy in progressive multiple sclerosis', condotta dall'Università di Tor Vergata di Roma e accettata recentemente per la pubblicazione su 'Frontiers in Immunology'. In questa malattia autoimmune neurodegenerativa del sistema nervoso centrale, che colpisce circa 2,8 milioni di persone nel mondo, di cui quasi 130.000 in Italia, i linfociti T si attivano in maniera anomala. Vanno oltre la risposta autoimmune e danneggiano, così, i tessuti del sistema nervoso centrale, causando un disturbo dell’attività delle sinapsi neuronali e, dunque, una disfunzione cerebrale. "Lo studio conferma che l'aggravamento della malattia, da una fase lieve con periodi di remissione a una fase cronica progressiva, è accompagnato da un'alterazione funzionale dei neuroni a livello delle sinapsi, dove si verificano i contatti tra i neuroni e avviene la trasmissione dell'impulso nervoso, provocata proprio dalle cellule immunitarie – chiarisce Diego Centonze, ordinario di Neurologia all'Università di Roma Tor Vergata e direttore dell'Unità operativa complessa di Neurologia e della Stroke Unit all'Irccs Neuromed di Pozzilli – Siamo inoltre riusciti a evidenziare come questa alterazione venga attenuata dal trattamento con Siponimid, un farmaco già in uso in pazienti con sclerosi multipla, enfatizzando quindi il ruolo dei meccanismi immuni nell'induzione del deficit cognitivo nelle malattie neuroinfiammatorie e neurodegenerative". Il farmaco "intrappola i linfociti negli organi linfoidi e impedisce il loro ingresso nel sistema nervoso dove provocherebbero danno, incluso quello alle sinapsi". Un altro farmaco che riduce in maniera significativa gli effetti neurotossici indotti dai processi infiammatori a livello delle sinapsi è l'Interleuchina-9, come dimostra un altro studio dello Spoke 7, pubblicato sul 'Journal of Neuroinflammation' a maggio 2024. "La ricerca prova che nella sclerosi multipla la somministrazione di questa molecola prodotta da una particolare categoria di cellule del sistema immunitario – prosegue Centonze – riduce l'infiammazione dannosa caratteristica della malattia indotta dalle cellule microgliali, cioè quelle cellule che si occupano della prima e principale difesa immunitaria attiva nel sistema nervoso centrale, e migliora la sintomatologia della malattia in modelli sperimentali". Non solo sclerosi multipla. Il sistema immunitario gioca un ruolo fondamentale anche nella malattia di Alzheimer, come emerge dagli studi condotti dall'Università di Verona, non ancora pubblicati. "Le nostre ricerche stanno dimostrando come i globuli bianchi che circolano naturalmente nel sangue migrino nel cervello e si posizionino vicino ai neuroni, nelle zone importanti per la memoria – racconta Constantin – Abbiamo evidenziato che questo fenomeno di migrazione leucocitaria ha un ruolo fondamentale nella malattia di Alzheimer e il suo blocco ha un effetto terapeutico, riducendo l'infiammazione cerebrale e migliorando la memoria". In studi in vitro "abbiamo infatti rilevato come le cellule immunitarie 'aggrediscano' i neuroni inducendo un danno cellulare e l'alterazione dei circuiti neuronali. Queste ricerche indicano che i globuli bianchi possono indurre un danno diretto alle cellule del cervello e contribuire allo sviluppo dei deficit cognitivi". Una svolta inaspettata. E ancora, all'interno dello Spoke 7, si stanno ricercando biomarcatori predittivi della malattie neurodegenerative, come emerge dagli studi guidati da Massimiliano Calabrese, professore di Neurologia all'Università di Verona, che a breve saranno pubblicati sulla rivista 'Neurology Neuroimmunology & Neuroinflammation'. I ricercatori hanno identificato due proteine che possono essere associate alla sclerosi multipla, presenti nel liquido cerebrospinale che avvolge il sistema nervoso centrale e che permette la diffusione di nutrienti e sostanze chimiche. "L'osteopontina è una proteina coinvolta nel rimodellamento osseo con rilevanti azioni pro-infiammatorie, spia del calo numerico e funzionale dei neuroni e delle loro connessioni e della progressione della malattia in pazienti con sclerosi multipla in fase precoce. Inoltre, la presenza di un'altra proteina, la parvalbumina, all'esordio della malattia, è stata identificata come indicatore in grado di anticipare lo sviluppo di danno cerebrale a distanza di 4 anni. In particolare, livelli aumentati di parvalbumina nel liquido cerebrale hanno predetto il rischio di sviluppare atrofia cerebrale, deficit cognitivi, disabilità fisica e fatica cronica nei pazienti con sclerosi multipla", chiosa Calabrese. La ricerca, pubblicata su 'Frontiers in Cellular Neuroscience' a giugno 2023, si è focalizzata sul ruolo della ferroptosi, un nuovo tipo di morte cellulare programmata provocata dall'accumulo di ferro, nell'induzione di epilessia. "L'aumento della ferroptosi nel cervello è correlato a una disfunzione del sistema immunitario – evidenzia Enrico Cherubini, direttore scientifico dell'European Brain Research Institute Rita Levi–Montalcini (Ebri) e coordinatore del laboratorio congiunto Ebri – ospedale pediatrico Bambino Gesù sulle forme di epilessia resistenti ai farmaci nei bambini – ed è caratterizzato da una reazione infiammatoria che potrebbe contribuire all'insorgenza dell'epilessia. E' stato infatti dimostrato che la ferroptosi è coinvolta in questa malattia, in particolare nelle forme resistenti ai farmaci, e comprenderne il meccanismo apre pertanto nuove strade per il trattamento dell'epilessia". —cronacawebinfo@adnkronos.com (Web Info)
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