(Adnkronos) – Non ha parlato nessuno. I primi quattro ultrà – Francesco Lucci, Andrea Beretta, Riccardo Bonissi e Luciano Romano – arrestati nell’inchiesta milanese che ha azzerato le curve milanesi e interrogati a San Vittore dal gip di Milano Domenico Santoro, si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. Gli interrogatori, a cui ha assistito il pm Paolo Storari, proseguiranno nel pomeriggio. La strada del silenzio è anche dettata dalla necessità di leggere i numerosi atti che fanno parte dell’inchiesta che ha portato complessivamente a 19 arresti per sospette infiltrazioni criminali nelle curve di San Siro. Le due tifoserie sono legati dai business illeciti di biglietti e parcheggi, ma mentre la curva Sud sembra più orientata a pestaggi a pagamenti, la curva nerazzurra deve rispondere di associazione per delinquere aggravata dalla finalità di agevolare la cosca di ‘ndrangheta dei Bellocco. Mirko Perlino, difensore di Beretta – già detenuto a San Vittore per l’omicidio del ‘compagno di curva’ Antonio Bellocco – e avvocato noto per aver difeso negli anni la curva Nord ribadisce che “non c’è stata nessuna pressione per avere le tessere che venivano regolarmente pagate e sui biglietti non ci sono mai state minacce dirette. L’unica minaccia è ‘se non ci danno i biglietti per Istanbul, per la finale di Champions League, non ci andiamo’ e a mio parere non è una minaccia, ma è dire o accontentiamo tutti o non ci va nessuno”. Inoltre, Beretta “i rapporti con i calciatori non li aveva, qualcuno ha avuto dei rapporti con i calciatori e che io sappia erano molto cordiali, anche in occasione della finale. La finale era un evento fondamentale e forse gli stessi calciatori ci tenevano ad avere la massa, era una partita difficilissima, quindi più il tifo era numeroso più era favorevole al morale e al risultato”, conclude il legale che ribadisce l’assenza di qualsiasi pressione o minaccia. —cronacawebinfo@adnkronos.com (Web Info)
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