Dal punto di vista della pura logica, esistono due approcci per distinguere tra l’abuso di autorità ai sensi dell’articolo 609 bis comma 1 del Codice penale, violenza sessuale e l’abuso dei poteri legati alla posizione del colpevole di cui all’articolo 609 quater comma 2 del Codice penale, atti sessuali con minorenni: o definire “autorità” in senso pubblicistico, oppure distinguere tra abuso costrittivo e abuso induttivo. La seconda opzione richiede inevitabilmente la necessità di definire e codificare il concetto di “costrizione”. Le Sezioni Unite della Corte di cassazione, mediante la recente sentenza n. 27326/2020 hanno affrontato la questione relativa a “se, nel contesto di reati di violenza sessuale, l’abuso di autorità di cui all’articolo 609 bis comma 1 del Codice penale richieda che l’agente detenga una posizione di autorità formale e pubblicistica o se possa invece riferirsi anche a poteri di supremazia di natura privata, che l’agente utilizzi per costringere il soggetto passivo ad atti sessuali”. Il primo orientamento si basava sull’importanza di differenziare l’abuso di autorità di cui all’articolo 609-bis dall’abuso dei poteri connessi alle relazioni di natura privata contemplati nell’articolo 609-quater comma 2. Si notava che una interpretazione estensiva dell’abuso di autorità, che comprendesse anche situazioni di natura privata, avrebbe comportato un’interpretazione abrogante dell’articolo 609-quater. Il secondo orientamento si basava sulla definizione di autorità derivante dall’articolo 61 numero 1 del Codice penale, secondo cui l’aggravante esiste indipendentemente dalla qualifica di pubblico ufficiale del soggetto agente. Nel dirimere la divergenza giurisprudenziale, le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno adottato un’interpretazione estensiva del concetto di “autorità” e hanno enunciato la seguente massima: “l’abuso di autorità previsto dall’articolo 609 bis comma 1 del Codice penale richiede una posizione di preminenza, anche di fatto e di natura privata, che l’agente strumentalizza per costringere il soggetto passivo a compiere o subire atti sessuali”. Tale opzione interpretativa appare persuasiva.
Mediante la sentenza n. 18679 del 5 maggio 2016 (udienza del 19 novembre 2015), la III sezione della Corte di cassazione è intervenuta nuovamente sulla questione della configurabilità del reato di violenza sessuale nel caso di un bacio impartito “a tradimento”, cioè contro la volontà della vittima. Nella situazione in questione, un uomo si era infatuato di una ragazza di quindici anni, sconosciuta a lui, e aveva cominciato a seguirla al termine delle lezioni al liceo, nascostosi dietro alberi e automobili lungo il percorso che la ragazza faceva fino alla fermata dell’autobus. L’uomo aveva ripetutamente cercato di baciare la liceale sulla guancia, compiendo movimenti improvvisi, riuscendovi solo in alcune occasioni. Al momento dell’arresto da parte dei Carabinieri, aveva la cerniera dei pantaloni parzialmente abbassata. La Corte di cassazione ha respinto il ragionamento adottato dalla Corte d’Appello e ha riconfigurato il fatto come violenza privata ai sensi dell’articolo 610 del Codice penale. La Corte Suprema ha sottolineato che il reato di violenza sessuale previsto dall’articolo 609 bis del Codice penale protegge la libertà sessuale, considerata un’espressione della personalità individuale e, come tale, gode di una tutela assoluta e incondizionata, immune dall’influenza delle intenzioni o dello stato d’animo di terzi. La Corte ha notato che l’intento concupiscente dell’agente, sottolineato nella decisione della Corte d’Appello, non è essenziale per configurare il reato quando è stato commesso un atto obiettivamente sessuale. Al contrario, tale intento non può essere considerato sufficiente nelle situazioni in cui manchi un atto che possa essere categorizzato come “sessuale”. La Corte Suprema sostiene che per determinare se il comportamento dell’imputato possa configurare il reato di violenza sessuale, è necessario condurre un’indagine sul piano oggettivo. Si dovrebbe esaminare se, nel contesto della nostra cultura e dell’attuale periodo storico, il bacio può essere considerato un atto “sessuale” in conformità con le norme e le consuetudini prevalenti.
Guttae Legis
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