La salute quale “interesse della collettività”

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L’articolo 32, con una lineare formulazione, accosta due elementi fra loro opposti, il diritto del singolo e l’interesse della collettività. Questo, trascendendo la dimensione individuale, sancisce come la salute del singolo sia un interesse di tutti i consociati. Inoltre riconosce come il benessere della collettività, essendo la salute un bene strettamente personale, passi necessariamente dall’ottimale stato psicofisico di ogni singolo cittadino. Di conseguenza il benessere dell’uno, diviene il benessere di tutti ed un bene sociale da difendere. Limitandosi a tale aspetto, però, non si coglie appieno la reale copertura che il Costituente ha voluto garantire con il diritto alla salute ed il rapporto biunivoco che sussistite fra singolo e collettività. Infatti, per tutelare il consociato, si deve intervenire nella protezione e nel miglioramento di aspetti che riguardano la vita sociale, esempio chiaro di ciò è la tutela dell’ambiente. Solo in ambiente salubre, ci potrà essere un soggetto in stato di benessere. Ciò, quindi, ci fa apprezzare come un elemento di interesse collettivo è prodromico al bene del singolo, è a sua volta condizione per garantire il benessere della società. Se si prosegue tale via interpretativa e si considera il combinato disposto con il comma secondo dell’articolo 32, si scorge, nel momento in cui questo prevede che un soggetto possa “essere obbligato a un determinato trattamento sanitario”, nei limiti previsti dalla legge, un vero e proprio dovere alla salute. Infatti il singolo avrà “diritto ad essere malato” nel limite che tale scelta non infici lo stato di benessere degli altri consociati. Per completare il quadro delineato della Costituzione, al fine di riscontrare gli elementi di interesse della collettività, in merito al bene salute, si deve rapportare tale previsione con gli articoli 2 e 3 della Costituzione. Il diritto alla salute è un diritto inviolabile e necessario, sia come singolo sia nelle formazioni sociali, e che quindi, ex articolo 3, la Repubblica abbia il compito di “rimuovere gli ostacoli […], che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”. È chiaro quindi come, in capo al soggetto pubblico vi sia un preciso dovere al fine di garantire lo stato di salute dei consociati. Tale assunto non è stato sempre riconosciuto come vero, tant’è che parte autorevole della dottrina lo considerava una “fuga in avanti”. Si poteva pensare, come accade per altri diritti, che la mera tutela a posteriori fosse sufficiente, al fine di tutelare il bene salute, ma nel momento in cui questo diviene un interesse collettivo, appare inevitabile e necessario un intervento diretto ed attivo da parte dello Stato. Da tale prospettiva si può, ancora una volta, apprezzare la poliedricità del diritto alla salute, quale diritto fondamentale. Questo portando in sé elementi dei diritti di libertà e dei diritti sociali, fa vedere come dalla situazione giuridica protetta, lo stato di benessere, discenda il diritto sociale, con il relativo impegno del soggetto pubblico, in sua tutela. Appurato il compito pubblico nel garantire la salute, più complesso è invece determinare quali siano le modalità con cui questo deve essere portato a termine. In primis si deve individuare il soggetto titolare di tale mansione. La Costituzione, nell’articolo 32, lo individua nella “Repubblica”, però bisogna capire quale sia il contenuto di tale vocabolo e del relativo concetto. In ciò ci viene in aiuto la definizione data da Vezio Crisafulli, che riprende una linea interpretativa già presente in Assemblea Costituente, secondo cui per “Repubblica” si deve intendere l’insieme dell’attività e funzioni non solo svolte dalla Stato centrale, ma anche dalle Regione e dagli altri soggetti pubblici. Inoltre la tutela della salute non riguarda solo l’erogazione delle prestazioni sanitarie ma, basti pensare al contenuto negativo del diritto, riguarda anche altre funzioni svolte dai soggetti pubblici, come quella giudiziaria. Come si vede quindi, l’impegno assunto in Costituzione, riguarda molteplici campi di attività dello Stato e degli altri soggetti, con una ramificazione molto ampia, dalla già citata tutale dell’ambiente fino al codice della strada, che risultano essere strumenti, quantomeno mediati, della tutela del diritto alla salute. In realtà, già in Assemblea Costituente era stata avanzata l’idea della creazione di un dicastero che si occupasse direttamente ed in maniera centralizza dell’erogazione delle prestazioni sanitarie, distaccato dal Ministero dell’Interno. Tale via non venne intrapresa, poiché si ritenne che fosse compito della legge ordinaria, e non della Carta, definire l’organizzazione di dettaglio della Pubblica Amministrazione. Del resto questa fu una scelta corretta poiché, stante una costituzione rigida, una così specifica previsione, come in altre materie, avrebbe portato ad una cristallizzazione del sistema, dovendosi seguire le norme ed i tempi (non considerando il necessario accordo politico) della revisione costituzionale, non permettendo all’Ordinamento quella celerità e predisposizione al cambiamento che sono necessarie per rispondere ai mutamenti dei tempi, della vita e dei bisogni dei cittadini e del progresso scientifico. Queste ultime considerazioni, sul soggetto demandato ad adempiere l’obbligo sancito in Costituzione, ci permettono di affrontare la seconda questione, vale a dire qual sia lo strumento più idoneo per regolare l’erogazione dei servizi sanitari. Come si diceva poc’anzi, questo è la legge ordinaria, che, nella sua più flessibile modificabilità, permette di mutare all’esigenza (con maggiore facilità rispetto ad una norma costituzionale) ed avere un più ampio spazio di manovra e scelta politica. Come si è visto, infatti, per quanto dottrina e giurisprudenza abbiano approfondito e dipanato i vari concetti, insiti nell’articolo 32, rimane sempre un’alea che, in virtù del principio democratico, deve essere definita dal giudizio politico. Inoltre, a seguito della così detta “riforma del Titolo V” la “tutela della salute”, ex articolo 117 comma secondo della Costituzione, rientra nella podestà legislativa concorrente fra Stato e Regioni. Di conseguenza è sì compito dello Stato, mediante legge ordinaria, definire i principi fondamentali della materia, ma la disciplina di dettaglio è rimessa al legislatore regionale. A tal proposito va ricordato, quanto sancito dalla Corte Costituzionale, secondo cui la “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni costituisce uno strumento attribuito alla competenza esclusiva statale, da utilizzare per evitare che le Regioni possano fornire servizi inferiori a certi standard minimi”. Di conseguenza lo Stato, oltre a porre i principi fondamentali, ha il compito di vigilare ed assicurare, quegli “standard minimi”, che debbono essere sempre garantiti. Per quanto attiene poi all’organizzazione della funzione amministrativa è bene ricordare come, secondo il principio di sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione, sanciti dall’articolo 118 della Costituzione, queste non siano più predeterminate “a monte” e governate dal centro. Anzi, l’erogazione, deve essere amministrata ed eseguita dal soggetto adeguato più vicino al cittadino e deve rispondere alle esigenze, che in quella determinata area sono necessarie e preminenti, tanto che possono essere previste differenti forme, per differenti esigenze. Appare chiaro quindi, che il soggetto pubblico a suoi vari livelli, in virtù di un proprio interesse, poiché interesse delle collettività, ha il dovere di predisporre le adeguate forme di tutela della salute del singolo individuo e, a seguito della riforma costituzionale del 2001, ciò può essere fatto mediante formule diverse a seconda dell’esigenze. In conclusione va sempre ricordato come però, quel “nucleo irriducibile” del diritto alla salute debba essere sempre garantito, ad ogni soggetto, sull’intero territorio nazionale.

​Guttae Legis

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