(Adnkronos) – “Oggi le persone con emofilia hanno la possibilità di accedere a un ventaglio di farmaci veramente ampio”. Lo ha detto Patrizia Di Gregorio, ematologa e direttrice del Servizio di Medicina trasfusionale della Asl Vasto-Chieti, a margine del terzo appuntamento del progetto ‘Let’s Talk’ di Sobi, lanciato lo scorso ottobre per approfondire argomenti di attualità e prospettive inesplorate nel contesto delle malattie rare. Al centro del terzo talk, intitolato ‘Health equity, esperienze e obiettivi per una migliore Quality of Life delle persone con malattie rare’, il tema dell’inclusione e della possibilità, per le persone con malattie ematologiche rare, di avere un’elevata qualità di vita. “Avere l’emofilia in passato era un problema molto grave, pensiamo agli anni ‘50 e ad oggi: non è trascorso molto tempo ma ora abbiamo molti strumenti in più – aggiunge Di Gregorio – Uno degli obiettivi che ci prefiggiamo è quello di rendere queste persone ‘emofilia free mind’, ossia con la mente libera dall’idea della loro malattia, e già in parte le abbiamo rese tali, grazie alle nuove terapie che si stanno sviluppando. E non solo in virtù di queste, ma anche e soprattutto grazie alla capacità di tutti coloro che sono intorno alle persone con emofilia e ai loro caregiver di formare un network in grado di facilitare il miglioramento della qualità di vita delle stesse”. “Non parliamo solo di medici, ma anche di fisioterapisti, psicoterapeuti – sottolinea l’ematologa – Perché io credo profondamente che una buona psicoterapia possa giovare a tutti. C’è chi sostiene che ci sarà la possibilità di curare definitivamente l’emofilia, anche se personalmente vedo questo traguardo ancora lontano. Tuttavia, oggi abbiamo un armamentario terapeutico in grado di favorire l’inclusività, soprattutto per le giovani generazioni, e far sì che possano svolgere le attività dei propri coetanei e avere una vita sociale attiva. Chi, dei pazienti con emofilia, non appartiene alla fascia di età più giovane, i problemi, come i danni articolari, purtroppo li hanno già avuti. Quello che possiamo fare è farli sentire al meglio delle proprie possibilità, perché l’inserimento sociale è per tutti e deve essere per tutti”, conclude. —salutewebinfo@adnkronos.com (Web Info)
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