(Adnkronos) – Sorprende leggere oggi La Repubblica e scoprire che al quotidiano, fondato dal grande Eugenio Scalfari, ignorino che le agenzie stampa siano per definizione già distanti da tutti. Tra i loro compiti c’è quello di riportare i fatti che accadono e le dichiarazioni rilasciate in particolar modo da esponenti politici e istituzioni. Racconteremo ovviamente anche gli annunciati risvolti giuridici che seguiranno questa vicenda. Con vivo interesse. Lasciamo ai lettori la semplice cronistoria. Vorrei chiedere scusa a quei ceffi di romanacci con la scopa sulla testa che, nel Colosseo fuori dal Colosseo, da anni si ostinano a offrire al turista per dieci euro una foto con una tunica rossa attorno al corpo, scudo e daga sguainata. Chiedo scusa per i tantissimi articoli che ho scritto contro la gens della patacca abusiva da due soldi che adesso viene espropriata dalla gens della patacca di stato da un milione e mezzo di dollari: chiedo scusa ai truffatori del Colosseo senza legge, dove si mangia, si frega e se fa subito a cazzotti , ai “centurioni” borseggiatori che fanno la mano morta alle turiste, ai carrettini di panini immangiabili, ai venditori di souvenir e di paccottiglia d’ogni genere. Nessuno purtroppo riuscirà a fermare la nuova lucrosa carnevalata del Colosseo prevista nel prossimo maggio. Ancora non si sa chi si travestirà da leone e chi da tigre, ma sono già pronti i pitali rovesciati che diventeranno elmi «rigorosamente veri » sulla testa dei 16 turisti più fortunati, 16 gladiatori sbrindellati, ma «autentici», che «saranno scelti per concorso, sottoposti cioè ad esami di storia romana» magari da quel Michetti che le sorelle Meloni – ricordate? – accreditavano come professore di Romanità e perciò candidarono a sindaco: « Rifamo er Colosseo e pure le strade consolari ». Davvero non fatevi illusioni, è inutile parlare di disfacimento estetico o spiegare al presidente della Commissione Cultura, Federico Mollicone, che il Colosseo è memoria universale. Chiunque dovrebbe entrarvi in punta di piedi, anche quelli del Parco archeologico con le loro clientele di ancient romans che si sono messi a sniffare la romanità spacciata da Mollicone. Nel 2008 durante il G8 questa romanità di strada sedusse persino i grandi del mondo e la sera a cena il presidente del Parlamento canadese chiese a quello del Parlamento italiano, Gianfranco Fini, quando, in quale epoca, era avvenuta «la deportazione dei romani». Aveva infatti visto e parlato e si era pure fatto fotografare con i descendants of the aborigines . Pensava che quei centurioni fossero come gli indiani in America e i Maori in Nuova Zelanda. Fini gli disse: «Certo, le facce inquietanti ce le hanno». Ebbene, chiediamo scusa a tutti loro che sono, tra di loro, tutti parenti, come nelle cosche a Corleone, e come nel “sistema Meloni”. In fondo rimandano all’archeologia del vivere, microorganismi e fermenti di una decomposizione sociale che è pur sempre vita, anche se andata male. E però l’indignazione non attacca a Roma, che è sì bella e perduta come la patria del Nabucco . E la patacca di stato è purtroppo vincente perché è milionaria. Il povero governo italiano pe’ schiaffasse in saccoccia li quadrini , un milione e mezzo di dollari pagati dai quei furbi di Airbnb, obbligherebbe pure il centurione Alessandro Giuli a mettersi in testa una corona di pelle adornata di sesterzi per stupire e instupidire quei turisti che, ogni sera e per tre sere, saranno addobbati da una sartoria ovviamente d’epoca con l’armatura dei mirmilloni per combattere i turisti nemici con l’armatura dei traci. Questa è pure una patacca che viene da lontano: gli scontri-spettacolo al Colosseo, in stile Las Vegas, non sono stati immaginati da Sangiuliano e da Giuli, ma dall’allora ministro Franceschini, con un ripristino creativo dell’antichità e del mito di Roma che nemmeno Mussolini. Tutto cominciò dieci anni fa, quando l’archeologo Daniele Manacorda, suscitando appunto l’entusiasmo di Franceschini, si spinse a ipotizzare «ogni possibile evento della vita moderna, magari gare di lotta greco-romana, o una recita di poesie, o un volo di aquiloni ». E James Pallotta, che non aveva ancora venduto la squadra, alla Cnn annunziò «una partita della Roma contro il Bayern o il Barcellona: potremmo avere 300 milioni di persone che vogliono guardare da tutto il mondo il calcio nel Colosseo. Per loro faremo una pay-per-view: 25 dollari a testa». Poi quest’anno Elon Musk ha sfidato Zuckeberg a un duello di arti marziali nell’Arena che il governo era davvero pronto ad affittargli. E forse un po’ di colpa ce l’ha il film Il Gladiatore con quella battuta che è perfetta sia per la caciara sia per lo scetticismo di Roma: «Al mio segnale scatenate l’inferno». Si sa che Luca Ward, il doppiatore di Russell Crowe, pronuncia nel film la frase in romanesco. Lo ricordo proprio al Colosseo il 26 settembre del 2018 quando, presentando il libro di Francesco Totti, un altro gladiatore messo male, si mise a smorfiare sé stesso: « Quando me parte, faccio er Gladiatore e non mi fermo più ». Quella sera, per il libro di Totti, l’anfiteatro del Colosseo, che pure è l’archetipo di tutti gli stadi del mondo, era riservato al sussiego floscio e finto-inglese della nomenklatura sul Tevere, quella dei vip e dei semivip in tiro, baciamano e tacchi alti. Sfilarono al Colosseo per il pupone cocco de mamma i «Caio Gregorio / fusti der pretorio », ma con il Rolex al posto dei «ddu metri de torace ». Oggi invece la patacca milionaria viene raccontata come fosse un progetto di Mommsen e di Santo Mazzarino dalla direttrice pro tempore del parco archeologico Alfonsina Russo, «un’occasione – ha detto senza ridere – per ridare verità alla storia dei gladiatori». E ai cronisti dei giornali amici ha pure spiegato il tempio di Giove e la lotta dei carri. Ed è un peccato che Alfonsina si sia fatta espugnare dalla romanità-patacca della destra, ora magnificata da Mollicone, la retorica della lupa e di Giulio Cesare di cartapesta ma anche di Asterix, disegnato come una statua ma con il prezzemolo in testa al posto dell’alloro. C’è davvero un ritorno e un rilancio della sottocultura che anche Gianni Alemanno, da sindaco, inseguiva come un momento magico. È la romanità che–- ricordate? – veniva rievocata il 27 e 28 ottobre con la celebrazione della battaglia di Ponte Milvio e del miracolo di Costantino. Alemanno e il suo cerimoniere acculturato di allora, Umberto Broccoli, organizzavano la giornata dell’identità cristiana di Roma «l’esperienza più eccitante mai vista, un monumento alla romanità, qualcosa che i bambini delle scuole dovrebbero studiare e ricordare per il resto della loro vita»: venghino, signori, venghino a Ponte Milvio a vedere la ricostruzione del castrum, l’accampamento con macchine da guerra, le tende, e ovviamente i centurioni e i decurioni. Renata Polverini, che allora presiedeva la Provincia, invece era più sprint e organizzava la festa mischiando i costumi greci e romani perché « semo pure greci », e alcuni assessori erano travestiti da maiali con le mani che acchiappavano cosce mentre le puellae in tunica si leccavano i musi e finalmente una scrofa prendeva il posto della lupa capitolina. E ovviamente avevano pensato di fare la festa al Colosseo, ma il tabù del monumento allora resisteva, anche se bisogna dire che i monumenti non sono templi, che il riuso non è sempre profanazione, e questo vale pure per il Colosseo che, dal punto di vista della Chiesa, rimane un luogo di martirio, una Basilica. Nei corridoi del Colosseo fu girata la scena, amatissima da Tarantino, del lunghissimo scontro di karatè tra Chuck Norris e Bruce Lee, che sarebbe poi morto l’anno dopo, nel 1973. Il Colosseo venne concesso a Venditti con il suo pianoforte bianco. E Paul McCartney percorse una passerella longitudinale fumando una sigaretta e alla fine ci fu qualcuno che si precipitò a raccogliere la cicca e ancora la conserva. McCarteny cantò pure “ The Magical Mystery Tour vuole portarvi via … Venite, venite, satisfaction guaranteed”. Poi abbiamo avuto le tragedie greche, il concerto di beneficenza di Biagio Antonacci, le danze del diavolo buono Roberto Bolle. Adesso questa sbracatura dei turisti gladiatori è la prova definitiva che in Italia c’è un’emergenza Colosseo. Eccoci al paradosso: il Colosseo è un’emergenza perché va troppo bene, soffre di abbondanza, al punto che ogni anno sfonda il record dei visitatori dell’anno precedente. Nel 2023 sono stati 12 milioni e 300mila, con un ricavo di 79 milioni e 340 mila euro. Il monumento più visitato e più lucroso d’Italia, uno dei più ricchi del mondo, è anche il più vulnerabile all’accanimento progettistico della demagogia, all’accattonaggio urbano, al degrado della ristorazione ambulante, alla parodia della romanità. E meno male che è uno dei ruderi più solidi al mondo. Il Colosseo, che ha resistito a tutto, sopporterà anche la finta battaglia nella sua arena. Il nuovo orribile kitsch confermerà l’eternità della pietra ma l’oltraggerà peggio di una demolizione. “Caro Merlo, sei un ‘deficiente’ perché manchi della conoscenza sui temi di cui scrivi. E non perdo tempo a inviare repliche al giornale che ti ospita perché, come sempre, non le avrebbe mai pubblicate”. Comincia così la lunga ‘lettera’ del presidente della Commissione Cultura alla Camera Federico Mollicone con la quale il deputato di Fdi risponde ad un articolo di Francesco Merlo pubblicato oggi su ‘Repubblica’, nel quale il giornalista critica pesantemente l’idea della rievocazione storica degli antichi combattimenti romani dei gladiatori al Colosseo. “Forse -attacca Mollicone- pensi di far ridere con l’ennesimo pezzo radical chic che trasuda elitismo ma sei un ‘deficiente’ – ovviamente nel senso etimologico: defici della conoscenza storica dell’identità del Colosseo e del ruolo che la rievocazione ha nei luoghi archeologici e del suo utilizzo come forma di archeologia sperimentale, come nelle arene di Nimes e Lugdunum”. In tutta Europa, dice Mollicone, “la rievocazione storica, compresi gli spettacoli di gladiatura, sono a pagamento dentro arene e luoghi romani con spettacoli per migliaia di persone. Da noi sono addirittura gratis, approvate dalle Sovrintendenze, e portano redditività per il monumento. Immaginiamo il radical chic Merlo a compiacersi di fronte lo specchio, col suo sorriso beffardo, con i suoi editoriali dissacranti per colpire la destra, forse non potendo più brandire una chiave inglese come facevano negli anni ’70 quelli di AutOp, ma con lo stesso odio”. La rievocazione storica “rappresenta una politica attiva di valorizzazione degli istituti museali e dei parchi archeologici per incentivare forme ulteriori di turismo, contribuendo anche alla didattica e all’approfondimento scientifico”. “Caro Merlo sei un ‘deficiente’ perché non sai che dal 1 novembre è in vigore la legge 152 del 2024 che reca disposizioni in materia di manifestazioni di rievocazione storica -prosegue il presidente della Commissione Cultura alla Camera- e delega al Governo per l’adozione di norme per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale e statuisce espressamente, all’articolo 1, che la Repubblica riconosce le rievocazioni storiche quali componenti fondamentali del patrimonio culturale nonché elemento qualificante per la formazione e per la crescita socio-culturale della comunità nazionale. Legge che ti ricordo è stata votata anche dalla sinistra, all’unanimità dal Parlamento”. “Bene ha fatto il parco archeologico del Colosseo a siglare un protocollo d’intesa con le associazioni di rievocazione storica, garantendo anche ai turisti uno spettacolo di gladiatura di alta qualità scientifica coordinato da funzionari del ministero della Cultura”, scandisce Mollicone nella lettera a Francesco Merlo- Non vorremmo si nasconda odio verso la tradizione e la storia romana: ti ricordo, Merlo, che al Colosseo si tenevano i giochi gladiatori e la rievocazione degli stessi è archeologia sperimentale. Chi non lo sa è un “deficiente”. Caro Merlo sei un “deficiente” perché non sai che esiste un Fondo Nazionale per la rievocazione storica, istituito su mia proposta sin dal 2017 e che il governo Meloni ha raddoppiato fino a 4 milioni, che ogni anno finanzia migliaia di manifestazioni che attirano centinaia di migliaia di turisti e vivificano le identità più profonde dell’Italia. Penso al Natale di Roma, alle Idi di Marzo, ad Aquileia”. “Caro Merlo, quelle associazioni di rievocazioni storica di cui parla hanno ricevuto 7 medaglie dai diversi Presidenti della Repubblica. Anche loro per la ‘romanità patacca di destra’? Caro Merlo, sei un ‘deficiente’ perché non hai capito che la destra sostiene una politica culturale alta e popolare. Per intenderci, quella che ispirò il barocco, quella delle grandi feste che nascondono simboli antichi – descritte magistralmente nei propri saggi da Fagiolo e Rak – con messaggi esoterici e essoterici e che parlano al popolo. A proposito di popolo, gli allego le foto dell’arena di Nimes in Francia, la progressista Francia, dove una folla di popolo pagante si riunisce per vedere la rievocazione della gladiatura e delle legioni romane. Merlo, inizia a studiare e documentarti: in una sola frase, inizia a fare il giornalista e approfondire ciò su cui scrivi, cosa che evidentemente non hai fatto. La pazienza è finita. Davvero”, conclude il presidente della Commissione Cultura della Camera. “Con una lunga lettera di insulti, dettata all’Adnkronos che, senza prendere le distanze, ne ha riproposto sin nel titolo lo stile offensivo (‘Merlo sei un deficiente’), il presidente della commissione Cultura della Camera, Federico Mollicone, ha risposto a un nostro garbato articolo di dissenso sulla decisione di mettere in scena, nell’arena del Colosseo, combattimenti di gladiatori interpretati in costume d’epoca dai turisti di Airbnb. L’organizzazione ha ricompensato il Parco archeologico del Colosseo con un milione e mezzo di dollari che sono un ottimo motivo per difendere la rievocazione storica dalle critiche e per resistere alle proteste. Repubblica ha pubblicato l’articolo del nostro Francesco Merlo ieri e il deputato di spicco di Fratelli d’Italia, sostenendo che non gliel’avremmo pubblicata, non ha inviato al giornale o a lui questa sua replica che si apre appunto con ‘caro Merlo, sei un deficiente’ e si chiude nientemeno con questa minaccia: ‘La pazienza è finita. Davvero’. E speriamo che Mollicone, persa la pazienza, non dia seguito e trattenga la sua ira. Mollicone assimila Merlo al mondo violento degli anni Settanta del quale il giornalista non ha mai fatto parte: ‘Immaginiamo il radical chic Merlo compiacersi per i suoi editoriali… non potendo più brandire una chiave inglese come facevano negli anni Settanta quelli di AutOp, ma con lo stesso odio’. Verrebbe da sorridere e replicare con un ‘Mollicone ma che stai a di’’ se le troppe insolenze spavalde su ‘i radical chic che si guardano allo specchio con i sorrisi beffardi’, e il crescendo della ripetizione ossessiva, per ben cinque volte, dell’insulto ‘deficiente’ non dessero il tono della rissa di strada a un testo culturalmente povero che l’agenzia di stampa ha rilanciato pubblicandolo interamente. È davvero inusuale l’attacco frontale, l’offesa gratuita, diretta e personale di un’alta carica istituzionale a un giornalista. Non è una critica, non è una polemica legittima, non è neppure faziosità consapevole, onesta e dichiarata, ma è materia giudiziaria. Sperando che l’onorevole Mollicone non si difenda dalla querela di Merlo nascondendosi dietro l’articolo 68 della Costituzione che gli garantisce l’immunità e non l’impunità”. —politicawebinfo@adnkronos.com (Web Info)
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