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Filippo Turetta nell'aula della corte d’Assise di Venezia oggi per essere interrogato nel processo per l’omicidio dell’ex fidanzata Giulia Cecchettin. Un’udienza ad alta tensione emotiva per il ventiduenne che, dopo la lunga e dettagliata confessione resa subito dopo l’arresto, oggi per la prima volta mostra il suo volto ai giornalisti ma, soprattutto, incrocerà lo sguardo di Gino Cecchettin, padre della vittima, che dall’11 novembre scorso cerca un perché alla morte della figlia. “Oggi e lunedì 28 ottobre non sarò presente in aula. Non per disinteresse, ma per prendermi cura di me stessa”, ha annunciato su Instagram, Elena Cecchettin la sorella di Giulia. “Sono più di 11 mesi che continuo ad avere incubi, 11 mesi che il mio sonno è inesistente o irrequieto. La mia salute mentale e soprattutto quella fisica ne hanno risentito. Ho perso il conto delle visite mediche che ho dovuto fare nell'ultimo anno. “Seguirò a distanza anche tramite i miei legali, tuttavia non parteciperò. Sarebbe per me una fonte di stress enorme e dovrei rivivere nuovamente tutto quello che ho provato a novembre dell'anno scorso. Semplicemente non ne sono in grado” aggiunge la studentessa. “Voglio condividere questo perché penso sia giusto proteggersi quando ne abbiamo bisogno. Sono umana, e come tutti non sono invincibile” conclude Elena Cecchettin. L’imputato – dopo aver depositato nei giorni scorsi una memoria – davanti alla corte presieduta dal giudice Stefano Manduzio dovrà ricostruire come ha conosciuto Giulia, dovrà spiegare quando l’amore è diventato possesso e perché quella sera, dopo aver parcheggiato l’auto a 150 metri da casa Cecchettin, ha deciso – di fronte al rifiuto di Giulia di tornare insieme – di accoltellarla 75 volte. Al pm Andrea Petroni dovrà chiarire ogni aspetto della prima aggressione a Vigonovo (Padova), dei colpi mortali sferrati nella zona industriale di Fossó (Venezia), della fuga di cento chilometri fino al lago di Barcis (Pordenone) dove si disfa del corpo della ventiduenne laureanda in Ingegneria biomedica, della resa in Germania, dopo una settimana di fuga. Sarà difficile per Turetta trattenere le lacrime, anche quando proverà a chiedere scusa per un gesto a cui lui stesso non sa dare un perché. Un delitto confessato, ma non preordinato a suo dire. Nessun piano studiato, niente raptus o blackout ma una rabbia sorda che lo ha armato. La premeditazione, invece, esiste per l’accusa: Turetta spiava la vittima con un'applicazione sul cellulare, avrebbe comprato in precedenza il nastro adesivo per impedirle di urlare, preparato vestiti, soldi e provviste per scappare, studiato mappe per nascondere il corpo e agevolare la fuga. Tutti elementi che insieme a una confessione piena possono costargli l’ergastolo. —cronacawebinfo@adnkronos.com (Web Info)
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