(Adnkronos) – Il rapporto medico-paziente è una relazione che cura. Quando il camice bianco è davvero 'il dottore di fiducia', quando si ha la certezza che lui ascolta e capisce, che segue e accompagna nel bene e nel male l'intero percorso terapeutico, allora scatta un effetto-empatia che infonde sicurezza e benessere. Un 'farmaco' non solo per l'anima: i suoi effetti sono visibili anche nel cervello, dove accende le aree della speranza in un futuro migliore. Lo ha scoperto uno studio italiano disegnato proprio per mappare i circuiti neurologici che si attivano nel paziente se sente che il medico c'è veramente, che la presa in carico è continua e attenta. All'opposto, quando manca tutto questo, quello che succede nel cervello alimenta confusione, malessere e delusione. Il paziente si scoraggia e si paralizza.
La ricerca
Fiore 3
(Functional Imaging of Reinforcement Effects) è firmata Fondazione Giancarlo Quarta (Fgq), Onlus impegnata da oltre 20 anni nell'indagine del rapporto medico-paziente dal punto di vista psicologico, clinico e sociale, con l'obiettivo di alleviare la sofferenza dei malati. Le attività neuroscientifiche di Fgq sono realizzate in collaborazione con le università di Padova e Parma.
Lo studio – i cui risultati sono stati presentati e discussi oggi a Milano – rappresenta la terza parte di un complesso lavoro di indagine neuroscientifica sui correlati biologici della relazione fra medico e paziente, condotto attraverso la risonanza magnetica funzionale, ricordano da Fondazione Quarta: la prima parte ha preso in esame 2 tipi di rinforzi positivi, indagando a livello cerebrale gli effetti di una comunicazione rispondente ai bisogni del malato; la seconda parte ha analizzato gli effetti cerebrali del rinforzo negativo. Tutte le ricerche sono state condotte con lo stesso metodo del neuroimaging su un campione di soggetti ai quali è stato chiesto di immedesimarsi, di volta in volta, all'interno di situazioni che illustravano, con immagini e testi, varie interazioni tra interlocutori. Nello studio Fiore 3 – illustra Fondazione Quarta – a 30 persone sane, sotto scansione cerebrale, è stata sottoposta una serie di vignette che raffiguravano diverse situazioni sociali di interazione tra due persone, nelle quali veniva messa in risalto un'idea di continuità del rapporto o il suo contrario. Un esempio: un ragazzo all'ultimo anno di liceo, prossimo all'esame di maturità, è ricoverato per un trauma da sport e parla con il medico. Tre le fasi dell'interazione: descrizione della situazione (infortunio sportivo); presentazione del bisogno del paziente (prospettiva futura di recupero dall'infortunio); risposta dell'interlocutore, che può fornire sostegno e continuità, oppure no. Sulla base dei dati raccolti, i ricercatori hanno misurato e analizzato le risposte di attivazione, cioè quali aree cerebrali risultano più 'accese' dagli stimoli di continuità e discontinuità; le risposte di connettività, ossia come dialogano o meno le diverse aree del cervello nelle due opposte situazioni, e le correlazioni cervello-comportamento-personalità. E' stato così osservato – riporta Fgq – che nella condizione di continuità (buon rapporto medico-paziente) vengono maggiormente reclutati, tra gli altri, il network di elaborazione visuospaziale e il giro fusiforme, connessi rispettivamente all'elaborazione della prospettiva del sé, in particolare alla proiezione del sé nel futuro, e al riconoscimento visivo dei volti in modo personalizzato, perché l'interlocutore di fiducia conta tanto quanto il contenuto dello scambio. In sintesi, "il soggetto percepisce di poter contare su un legame solido e guarda al futuro con sicurezza". Il rinforzo positivo di continuità ingaggia inoltre aree associative, sensomotorie, emotive e cognitive che risuonano all'unisono, in armonia, "segno di benessere del soggetto". Quando invece viene meno la fiducia nel rapporto e manca il sostegno del medico, la 'fotografia' dell'attività cerebrale cambia radicalmente e la connettività tra alcune delle aree sopra indicate si modifica significativamente. In sintesi, "la mancata corrispondenza alle attese genera dissonanza e frizione emotiva, cosa che richiede una forte mediazione di tipo cognitivo per giustificare la violazione del rapporto di reciprocità". A livello psicologico, è la conclusione degli scienziati, se "la continuità di rapporto determina una situazione di sicurezza e benessere generale, di fiducia nella relazione, la possibile interruzione del rapporto genera un senso di abbandono e 'distress' o fatica". Senza l'empatia del suo dottore, il paziente si sente solo con il suo male e la sua sofferenza. —salute/medicinawebinfo@adnkronos.com (Web Info)
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