Summit Cina-Africa: neocolonialismo o sincero sviluppo?

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Sembra di essere tornati indietro al 1955 quando a Bandung le potenze afro-asiatiche decisero di incontrarsi per uscire dai cardini di un mondo all’epoca bipolare e per cercare di porre fine al colonialismo. In teoria, tali incontri si sarebbero dovuti tenere ad intervalli di tempo regolari. Tuttavia, la storia ha poi insegnato che una seconda Bandung, seppure spesso auspicata, in realtà non si tenne mai.

In realtà, in comune con quell’epocale evento, che sancì la nascita di ciò che è conosciuto oggi come “terzo mondo”, c’è ben poco. Forse solo il fatto che i protagonisti sono stati i rappresentanti degli Stati africani e la Cina, e poi lo sviluppo di un mondo che si staglia sempre più come multipolare.

In questi giorni appena trascorsi, dal 4 al 6 settembre, a Pechino si è svolto un summit tra la Cina e l’Africa, FoCAC per coloro a cui piacciono gli acronimi (Forum on China-Africa Cooperation). Un evento di grande importanza, quasi dimenticato inspiegabilmente dalla stampa nostrana.

Il protagonista assoluto è stato senza dubbio il presidente cinese Xi Jimping che nella sua capitale ha incontrato uno dopo l’altro i vari ministri e presidenti africani. Di per sé, già questo fattore denota un aspetto importante che è bene sottolineare: evidenzia i rapporti di forza; il presidente cinese non ha compiuto un viaggio diplomatico in Africa, sono stati i rappresentati degli Stati africani a recarsi da lui.

Cosa sono i summit FoCAC?

Ogni tre anni, dal 2000 a questa parte, la Cina e 53 stati africani su 54 hanno cominciato ad incontrarsi per discutere di vari temi, in particolare l’industrializzazione, l’avanzamento agricolo, la sicurezza e la cooperazione riguardo lo sviluppo della nuova via della seta. Come si può notare, uno stato africano risulta escluso dalla partecipazione a questa ciclica serie di incontri: si tratta dell’Eswatini.

Il piccolo Paese situato nell’Africa meridionale, infatti, si è macchiato di un ‘grave errore diplomatico’, ovvero quello di intrattenere relazioni diplomatiche con Taiwan. “Affari loro” dicono in Cina, perché in questo modo l’Eswatini si starebbe privando di tutti i finanziamenti che questa ventennale cooperazione porta con sé.

Tant’è vero che Mao Ning, la portavoce del ministero cinese per gli affari esteri, ha proprio esternato questo pensiero attraverso delle dichiarazioni rilasciate in questi giorni: Nel mondo esiste una sola Cina e Taiwan è una parte inalienabile del territorio cinese. Questo è il consenso prevalente nella comunità internazionale. I Paesi africani sostengono ampiamente il principio della Cina unica e considerano la cooperazione con la Cina utile per la prosperità economica e lo sviluppo sostenibile dell’Africa. Sviluppare relazioni ufficiali con la regione di Taiwan non è nell’interesse dell’Eswatini. Crediamo che alla fine l’Eswatini si renderà conto della tendenza prevalente nel mondo e prenderà la decisione giusta di conseguenza“. 

Decisione giusta?

Più che altro sembra un avvertimento volto ad un cambio di schieramenti all’interno delle dinamiche di politica internazionale.

In precedenza, si menzionava la questione dei rapporti di forza: ripercorrendo le passate riunioni emerge un dato non trascurabile: ben 6 incontri su 9 hanno avuto come sede Pechino (tra questi, quello tenutosi online e condiviso con Dakar del 2021). Gli altri sono stati organizzati: nel 2003 ad Addis Abeba, capitale simbolo della storia africana del 1900, considerato che lì ha sede l’Unione Africana e prima di essa, ebbe sede in tale luogo il suo ‘genitore’, ovvero l’Organizzazione per l’unità Africana (OAU); nel 2009 a Sharm el-Sheikh in Egitto e infine, nel 2015, a Johannesburg in Sudafrica.

Cooperazione o acquisizione dell’Africa?

La situazione legata all’impossibilità di partecipazione dell’Eswatini al forum rappresenta la micro-storia del contrasto in atto, per l’esercizio della propria influenza in Africa, tra la Cina e gli Stati Uniti. Una partita che per ragioni storiche e ragioni politiche al momento stanno vincendo a mani basse in Asia.

Le motivazioni storiche sono ben note e potrebbero essere tranquillamente riassunte con la parola colonialismo. Dal punto di vista politico invece, non si possono non tenere in considerazione gli attuali conflitti che stanno coinvolgendo indirettamente tutto il mondo occidentale. In particolare, quello israelo-palestinese che vede gran parte degli Stati africani schierarsi al fianco del popolo palestinese, anche in nome di un forse mai sopito panarabismo che da Nasser in poi ha caratterizzato buona parte del mondo arabo africano. Tant’è vero, che il ruolo di “osservatore” che Israele rivestiva all’interno dell’Unione Africana è stato sospeso nel 2023.

La Cina in questi anni è diventata il principale partner economico dell’Africa. Secondo i dati raccolti da Al Jazeera, circa un quarto delle esportazioni del continente, in particolare minerali, carburanti e metalli, vanno in Cina. In cambio, l’Africa importa dallo Stato asiatico almeno il 16 per cento dei materiali che acquista all’estero. Secondo le stime, entro il 2035 il volume dei commerci tra le due aree potrebbe raggiungere i 300 miliardi di dollari.

Poi ci sono gli investimenti relativi a prestiti e finanziamenti per la costruzione di infrastrutture, in particolare le strade. Fatto che, giocoforza, ha trasformato il Paese asiatico nel principale creditore del continente africano. La domanda lecita che balza in mente è quella più scontata: come faranno gli Stati africani a ripagare i debiti?

Perché l’incontro è tra la Cina e gli Stati africani e non unicamente con l’Unione Africana?

Considerato che l’obiettivo della Cina, almeno verbalmente, sarebbe quello di sviluppare una cooperazione con l’intera Africa, perché tali dialoghi non hanno coinvolto unicamente l‘Unione Africana? L’attuale presidente in carica dell’AU è Mohamed Ghazouani, capo di stato della Mauritania, e anche lui è stato ovviamente coinvolto all’interno dei dialoghi in questa duplice veste.

La Cina si è congratulata con l’Unione Africana per aver avuto accesso al G20 e ha affermato che continuerà a supportare le sue future partecipazioni. Inoltre, ha riconosciuto il suo importante ruolo nel salvaguardare la pace e la stabilità in Africa. Eppure la stessa storia recente dell’organizzazione sembrerebbe dire il contrario e dal momento che sono stati interpellati tutti gli Stati singolarmente, appare evidente che la sua considerazione sia stata più che altro pro forma.

Al di là della questione dell’Eswatini, che è all’interno dell’AU, vi sono altre ragioni che portano a pensare a ciò. Alcuni degli Stati che hanno preso parte ai dialoghi di questi giorni, al momento, sono stati sospesi dall’Organizzazione, per via dei colpi di stato militari che sono stati registrati.

Si può citare l’esempio del Niger, che forse è quello che ha avuto maggiore risonanza mediatica in Italia, ma lo stesso discorso vale anche per Mali, Guinea, Sudan, Burkina Faso e Gabon.

Inoltre, bisogna ricordare che l’Unione Africana resta pur sempre figlia di quella disputa tra gruppo di Monrovia e gruppo di Casablanca che portò in principio alla creazione dell’Organizzazione per l’Unità Africana. Scegliendo di dare vita ad un organismo basato sulla cooperazione tra Stati e non un’organizzazione sovrastatale che avesse un potere decisionale nei confronti degli stessi Stati, si è dato vita ad una struttura politicamente meno influente.

Cosa è stato deciso dal Summit Cina-Africa?

Cina e Africa contano da sole un terzo della popolazione mondiale. Senza la nostra modernizzazione, non ci sarà alcuna modernizzazione globale”

. Con queste parole Xi Jinping ha presentato un piano di aiuti da 51 miliardi di dollari (210 miliardi di yuan) che la Cina investirà in Africa nei prossimi tre anni, con lo scopo di supportare la costruzione di infrastrutture e creare almeno 1 milione di posti di lavoro.

Di questi, circa 29,6 saranno rilasciati attraverso linee di credito; circa 9,9 invece saranno impiegati per favorire nuovi investimenti per le compagnie cinesi. Ulteriori importi invece saranno distribuiti attraverso aiuti militari e altri progetti.

In particolare, in base alla Dichiarazione di Pechino che è stata accettata e concordata dai delegati, si lavorerà su dieci progetti che coprono i settori dell’apprendimento reciproco tra le parti, della prosperità commerciale, della cooperazione della catena industriale, della connettività, della cooperazione allo sviluppo, dell’assistenza sanitaria, della rivitalizzazione rurale e del benessere delle persone, degli scambi interpersonali, dello sviluppo ecologico e della sicurezza comune.

Verranno garantiti sostegni e finanziamenti anche per il mondo dello sport, in riferimento non solo all’organizzazione dei Giochi Olimpici Giovanili estivi del 2026 e la Coppa d’Africa del 2027, bensì saranno stanziati fondi per aiutare gli atleti nei loro percorsi agonistici e per consentire la generale crescita dello sport africano.

Al centro delle discussioni vi è stata anche l’intelligenza artificiale e la necessità di sviluppare una strategia comune, in modo da eliminare il divario digitale, ma soprattutto arginare i rischi che possono derivare dall’IA, come si legge nel paragrafo 3.4.3:

Le due parti ritengono che sia importante porre uguale enfasi su sviluppo e sicurezza, colmare il divario digitale e dell’IA, prevenire congiuntamente i rischi e costruire un quadro di governance internazionale in questo campo, con l’ONU come canale principale. Le due parti si oppongono a tracciare linee di demarcazione su base ideologica o a creare blocchi esclusivi, nonché a creare barriere allo sviluppo attraverso il monopolio tecnologico e misure coercitive unilaterali per ostacolare lo sviluppo dell’IA di altri Paesi. Le due parti intendono inoltre collaborare per arginare i potenziali pericoli che potrebbero derivare dall’uso dell’IA”.

Come hanno reagito i Paesi africani?

La parte cinese ha ovviamente voluto esaltare l’ottima riuscita di questa serie di incontri, ma anche la controparte africana in realtà si è detta più che soddisfatta. Forse più del dovuto.

“I risultati incoraggianti del partenariato sino-africano nella costruzione congiunta della Belt and Road sono da accogliere con favore” ha affermato il ministro degli affari esteri algerino Ahmed Attaf. Secondo il presidente sudafricano Ramaphosa non vi è nemmeno il pericolo che tutta questa serie di investimenti sia una trappola debitoria: “Non credo necessariamente all’idea che quando la Cina (investe) abbia l’intenzione di assicurarsi che quei Paesi finiscano in una trappola del debito o in una crisi del debito”. Pensieri che hanno trovato eco anche nelle parole del presidente angolano Joao Lourenço, che in una intervista ad un media cinese avrebbe affermato: “Sappiamo bene cosa sia la colonizzazione. La Cina non è qui per colonizzarci, ma per collaborare con noi”.

Ovviamente però, la situazione non è tutta rose e fiori. In Paesi come l’Uganda, ad esempio, sono esplose le proteste già prima del summit Cina-Africa a causa della realizzazione dell’oleodotto EACOP. Gli attivisti ugandesi si sono spesso lamentati del fatto che la popolazione locale non sia stata minimamente tenuta in considerazione e si sia trovata a fare i conti, da un giorno all’altro, con l’espropriazione dei propri terreni.

Che significato ha assunto il Summit Cina-Africa?

La cooperazione tra Cina e Africa continua proficuamente ed entrambe le parti hanno trovato ulteriori accordi sullo sviluppo di linee guida comuni. Più che altro, la Cina ha dimostrato ancora una volta di voler scommettere sull’Africa in modo diverso rispetto al modo in cui si è sempre rapportato l’Occidente. La Cina ha trattato gli Stati africani da pari, li ha ascoltati e ha deciso di contribuire al loro sviluppo in modo consensuale e non unilaterale.

Se dovessimo prendere una carta geografica in questo momento, sarebbe corretto ipotizzare una partnership non solo economica e sociale ma anche politica tra le due aree. Poi certo, le evoluzioni di questo incontro cominceranno a notarsi nei prossimi mesi e solo il tempo potrà scoprire sul tavolo le carte di un mazzo che ha tutti i presupposti per essere definito neocoloniale.

O forse quest’ultimo assunto non è altro che una manipolazione causata dal pensiero occidentale. Chissà.

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