(Adnkronos) – Dopo quasi due decenni di assenza dalla scena, uno dei protagonisti della collezione di antichità della Galleria degli Uffizi, il grande cavallo marmoreo, scultura romana databile tra la fine del I e gli inizi del II secolo d.C., torna a 'nitrire' al centro della sala della Niobe, al secondo piano del museo, esattamente dove aveva troneggiato per un secolo, dagli inizi del Novecento fino al 2006. E per la prima volta, un nuovo sistema di illuminazione mostra in tutto il loro ricchissimo cromatismo i giganteschi dipinti di Paul Pieter Rubens, Justus Suttermans e Giuseppe Grisoni appesi alle pareti, dando contestualmente corpo e lucentezza al soffitto della stanza. Sono circa 90 le lampade a minimo consumo energetico ed altissima resa cromatica che compongono l'articolato impianto della nuova illuminazione nella sala della Niobe. Un sistema per la prima volta studiato appositamente per esaltare in modo diretto l'intensità dei colori delle enormi tele Sei e Settecentesche di Rubens, Suttermans e Grisoni, arricchendo allo stesso tempo di una lucentezza finora mai vista gli elementi architettonici e le decorazioni dorate del fastoso soffitto. Inoltre, dopo quasi trent’anni dalla loro installazione sono state tolte le tende alle finestre: a sostituirle, pellicole di protezione dei raggi ultravioletti, che consentono di far entrare nella stanza anche la luce naturale, ed ai visitatori di ammirare le vedute del centro di Firenze, nell’ottica del generale riaprirsi del museo alla città. La grande statua, rinvenuta casualmente nel Cinquecento alla foce del Tevere, entrò a far parte del gruppo di opere archeologiche che il cardinale Ferdinando I de' Medici, grande appassionato di antichità, volle esporre scenograficamente nel giardino della sua villa a Roma sul Pincio, oggi sede dell’Accademia di Francia. Il cavallo giunse a Firenze, per volontà del Granduca Pietro Leopoldo di Lorena, solo più di un secolo e mezzo dopo, nel 1770, insieme alla compagine scultorea della Niobe. Il suo accostamento ai Niobidi, fin dai tempi di villa Medici, è legato a suggestioni di letteratura latina: Ovidio, nelle Metamorfosi, racconta infatti l’uccisione dei numerosi figli della mortale Niobe, colpevole di hybris per essersi definita più prolifica di Latona, madre di Apollo e Artemide, trafitti dalle frecce dei due stessi dei, scesi cavalcando dal cielo appositamente per sterminare come punizione divina l'intera famiglia. La potenza evocativa del mito era allora già così forte da far sì che per accogliere questi pezzi leggendari fosse progettata, per volontà dello stesso Granduca, una sala speciale. Questo spazio, frutto di complessi lavori di ristrutturazione e di allestimento del grande ambiente del Terzo Corridoio denominato all'epoca "lo Stanzone", fu inaugurato, proprio con il nome di "Sala della Niobe", il 20 febbraio del 1780. Accanto agli architetti Zanobi del Rosso prima e Gaspare Maria Paoletti poi, vi lavorarono Giuseppe del Moro, che realizzò la copertura a cassettoni decorata con rosoni dorati, i fratelli Grato e Giocondo Albertolli per gli stucchi, Tommaso Gherardini per i cammei ed i motivi a grottesca intorno alle finestre, il pittore Filippo Lucci, che dipinse le basi delle statue. Nel 1781 Francesco Carradori plasmò i rilievi in stucco delle 4 lunette della sala, nelle quali troviamo raffigurati, fra gli altri, Apollo e Artemide saettanti; un pregevole innesto neoclassico che, nel percorso della Galleria, resta a tutt'oggi un unicum. Il Cavallo, inizialmente non presente nell’allestimento (benchè esposto nel percorso di visita del museo), fu riunito ai Niobidi agli inizi dello scorso secolo Nel 2006 il cavallo fu rimosso per essere sostituito con il grande sarcofago, anch'esso romano, detto "Del Generale", che adesso è stato collocato al piano terreno. Da allora, la maestosa statua equina è stata visibile, temporaneamente, in due sole occasioni, nel 2017 al giardino di Boboli per la mostra "A cavallo del tempo" e nel 2023 in qualità di ospite d'onore della Fiera di Verona. Sottoposto nelle passate settimane ad una delicata operazione di ripulitura realizzata nella stessa sala della Niobe a museo aperto dalle restauratrici delle Gallerie, Sabrina Biondi ed Elena Prandi, il grande cavallo romano è ora di nuovo ammirabile in tutto il suo splendore dai visitatori degli Uffizi. Ha dichiarato il direttore del museo, Simone Verde: "Con il nuovo allestimento della sala della Niobe, è come se gli Uffizi avessero acquisito oggi capolavori della pittura, in passato sostanzialmente invisibili, a causa dell’inadeguata illuminazione museale. Inoltre il ritorno del grande cavallo ellenistico in questo spazio dopo quasi venti anni è un nuovo passo in avanti nel progetto della ricomposizione storica delle collezioni del museo. Così una delle più importanti sale di epoca lorenese viene restituita alla sua piena leggibilità e messa in tutto il suo recuperato splendore a disposizione del pubblico". Il curatore delle Antichità classiche delle Gallerie degli Uffizi, Fabrizio Paolucci, ha spiegato: "Questa operazione ha consentito di ricomporre un allestimento statuario famoso nella cultura antiquaria europea del Diciassettesimo e Diciottesimo secolo: i figli di Niobe oggi agli Uffizi sin dalla fine del Sedicesimo secolo erano esposti nel giardino di villa Medici sul Pincio, insieme al cavallo, in omaggio ai versi di Ovidio che descrivono il celeberrimo mito. Fu questa l’immagine divulgata in tutta Europa dalle stampe e dai disegni degli artisti che salivano sul Pincio per ammirare l’antico gruppo marmoreo, vera e propria tappa obbligate del grand tour romano". In fine la restauratrice delle Gallerie Elena Prandi: "La superficie del cavallo si presentava alterata da vecchie patine scurite che impedivano la lettura del marmo, eseguite probabilmente per uniformare la parte antica con le integrazioni rinascimentali. Dopo una prima rimozione del deposito di particellato atmosferico con sistemi a secco, la pulitura con impacchi di carbonato di ammonio su pasta di cellulosa ha reso più evidente la differenza fra il corpo (la parte antica), rispetto al completamento con zampe, coda e parte basale, aggiunte in seguito. Nel corso di questa operazione, sono emerse anche tracce di materiali bruni posizionati nella parte perimetrale inferiore della scultura, dovuti probabilmente al contatto diretto sul terreno in esterno. Il colore e la materia marmorea, dopo questi primi passaggi, hanno iniziato a riemergere, ma macchie disomogenee di colore giallo intenso restavano ancora sulla superficie. É stato quindi necessario ricorrere alla tecnologia laser per attenuare tali cromatismi in modo puntuale. Infine, nella parte inferiore della scultura, sono emersi anche evidenti accumuli di poliestere, di difficile rimozione, derivanti da operazioni di calco del secolo scorso". —culturawebinfo@adnkronos.com (Web Info)
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